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Seanie, la ragazza che vive come una statua
Una malattia rara trasforma i muscoli in ossa
La diciassettenne britannica è affetta dalla FOP, malattia genetica che blocca la mobilità delle articolazioni
Cinque anni fa la dodicenne Seanie Nammock scivolò malamente dal trampolino: sembrava una semplice botta alla schiena, tanto che nel primo ospedale dove andò (il St Mary’s di Londra) si limitarono a darle degli antidolorifici, consigliandole qualche giorno di riposo. Ma quando mamma Maria si accorse che il dolore era insopportabile e che sulla schiena della figlia era spuntato come un nodulo duro, rosso e caldo al tatto,
decise di sentire un secondo parere e si rivolse così al Chelsea and Westminster Hospital, dove le diedero la terribile diagnosi: la sua piccola Seanie soffriva di fibrodisplasia ossificante progressiva, in gergo FOP, una rara malattia genetica (colpisce una persona su due milioni, senza differenze di etnia, localizzazione o sesso) scatenata dall’alterazione del recettore di una proteina implicata nei processi di ossificazione che, in risposta a particolari stimoli (in genere, traumi, ma anche infezioni o lesioni) trasforma muscoli e tendini in ossa. In altre parole, si forma un secondo scheletro sopra al primo e alla fine è come se il paziente fosse rinchiuso in una gabbia di ossa, senza possibilità di liberarsi (una condizione che, una volta che ha raggiunto il torace, può scatenare problemi a livello respiratorio e quindi portare alla morte), perché ogni qual volta si cerca di rimuovere chirurgicamente queste formazioni ossee, si scatena un’ulteriore ossificazione, ancor più aggressiva della precedente.
LA MALATTIA - «L’esordio della malattia è caratterizzato dalla comparsa di noduli dolenti fibrosi nella parte superiore del corpo, soprattutto collo e spalle – spiega la dottoressa Maja DiRocco, pediatra specializzata in malattie rare all’Istituto Gaslini di Genova – che, attraverso un processo chiamato “ossificazione eteropica”, diventano ossa e vanno a rimpiazzare i tessuti molli come appunto i muscoli, bloccando così la mobilità delle articolazioni. Il decorso della FOP è altamente variabile ed imprevedibile e se alcune persone passano anche mesi o addirittura anni senza una crisi di ossificazione, per altre il processo non dà tregua e diventa inarrestabile, colpendo qualsiasi muscolo».
Nel caso della giovane britannica, è andata esattamente così: dopo infatti il famoso nodulo sulla schiena che ha permesso la diagnosi della malattia, a Seanie è spuntato un osso sulle spalle che le ha reso impossibile anche un gesto semplice come truccarsi (ma grazie all’ingegno degli amici riesce a farlo lo stesso usando delle pinze da barbecue) e nelle immagini pubblicate dal Sunday People, che ha raccontato la sua storia, la ragazzina ricorda quasi una statua vivente, con quelle braccia ormai paralizzate e bloccate a mo’ di cintura attorno alla vita. «I miei amici sono davvero fantastici – ha detto la giovane al tabloid domenicale – perché mi aiutano a fare quelle cose che per me sono ormai fuori portata, ma del resto non posso fare altro che cercare di andare avanti senza rinunciare alla mia vita o ai miei hobby, sperando che qualcuno riesca presto a trovare una cura».
LE CURE - Una speranza che è anche della dottoressa DiRocco, perché finora la sola terapia a disposizione di un malato FOP è il cortisone, che viene somministrato nella fase più acuta ed è in grado di contrastare e talvolta fermare per un lasso di tempo variabile la formazione ossea, senza tuttavia bloccarla definitivamente. «Il cortisone rappresenta un valido aiuto, ma non è una soluzione definitiva – continua la pediatra – e non a caso negli ultimi anni la ricerca è andata avanti e in Pennsylvania è stato messo a punto un farmaco, sperimentato con successo sugli animali, che a breve, si parla di fine anno, potrebbe essere testato anche sugli uomini. E poi, di concerto con medici, pazienti e famiglie di questi ultimi, stiamo cercando di costruire un registro internazionale della malattia, per studiarla ancora più approfonditamente e capirne così le correlazioni e i fattori scatenanti».
L'ESPERIENZA ITALIANA - Sebbene sia nota già dalla fine del 1800 con il nome di Miosite Ossificante, solo nel 2006 è stato possibile stabilire l’anomalia genetica alla base della FOP, che in genere compare in età pediatrica e fino ai 20 anni (più raramente fra i 15 e i 20) e presenta 28 casi accertati in Italia (in linea comunque con la percentuale mondiale). «Ma anche alcuni segnali indicatori sul corpo del bambino, come ad esempio l’alluce bilaterale valgo - spiega Enrico Cristoforetti, presidente di FOP Italia – sono già un primo campanello d’allarme per la malattia che, una volta accertata anche grazie all’indagine genetica che dal 2007 viene svolta all’Istituto Gaslini di Genova, dev’essere tenuta sotto controllo tramite la preservazione del corpo. In altre parole, si deve fare in modo che non si scateni quel trauma iniziale che dà luogo alla prima formazione ossea e quindi che il paziente, che nella maggioranza dei casi è sempre un bambino, non si faccia male. Ma ciò non significa tenerlo sotto ad una campana di vetro, perché è giusto che i bambini vivano il più normale possibile, ma adottare dei particolari accorgimenti o attenzioni che evitino o almeno limitino i rischi di trauma». Una condizione che Cristoforetti e la moglie Alessandra conoscono bene, visto che dieci anni fa alla primogenita Elisa (che oggi ha 14 anni ed ha appena superato con successo gli esami di Terza Media) è stata diagnosticata la fibrodisplasia ossificante progressiva. «Sembrava un banale torcicollo – hanno raccontato i genitori della bambina a Telethon 2012 – ma con il passare del tempo ci siamo resi conto che il dolore non solo non passava, ma stava anche peggiorando, così abbiamo portato Elisa da pediatri e genetisti e alla fine è arrivata la diagnosi che non ci aspettavamo». Da quel momento papà Enrico si è attivato perché la FOP non restasse solo una fredda sigla nell’elenco delle malattie rare: ogni anno l’associazione organizza un congresso internazionale (l’ultimo è stato a marzo scorso a Parma) per presentare i progressi della ricerca, «perché solo la ricerca può dare una speranza ad Elisa e ai malati di FOP», conclude Cristoforetti.
29 luglio 2013 Simona Marchetti - Corriere.it